Antonio Manganelli, capo della polizia, è deceduto. Era ricoverato all’ospedale San Giovanni diRoma. Il 24 febbraio scorso era stato operato d’urgenza per l’asportazione di un edema cerebrale dall’equipe neurochirurgica guidata dal dottor Claudio Fiore per la rimozione di un ematoma celebrale prodottosi in conseguenza a un’emorragia. Ieri il peggioramento delle sue condizioni di salute, dovuto a un’infezione respiratoria. Manganelli, che da due anni combatteva contro il tumore, non ha mai lasciato il reparto di rianimazione.
Manganelli era nato ad Avellino l’8 dicembre 1950. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli, si era specializzato in Criminologia clinica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Modena. Dagli anni ’70 ha operato costantemente nel campo delle investigazioni, acquisendo particolare esperienza e preparazione tecnica nel settore dei sequestri di persona a scopo di estorsione prima ed in quello antimafia poi. Ha lavorato al fianco dei più valorosi magistrati e di organi giudiziari investigativi europei ed extraeuropei, dei quali è diventato negli anni un solido punto di riferimento, legando il suo nome anche alla cattura di alcuni dei latitanti di maggior spicco delle organizzazioni mafiose.
E’ stato docente di Tecnica di Polizia Giudiziaria presso l’Istituto Superiore di Polizia e autore di pubblicazioni scientifiche in materia di sequestri di persona e di tecnica di polizia giudiziaria, tra cui il manuale pratico delle tecniche di indagine ‘Investigare’ (Cedam), scritto con il prefetto Franco Gabrielli, all’epoca direttore del Sisde.
Ha fatto coppia con Gianni De Gennaro per tutti gli anni ’80, numero uno e numero due del nucleo anticrimine e poi del servizio centrale operativo, indagando su mafia e sequestri di persona,droga e criminalità economica, lavorando al fianco di magistrati come Giovanni Falcone ePaolo Borsellino e collaborando con le polizie di mezzo mondo, dall’Fbi alla Bka tedesca. Ha mandato dietro le sbarre boss di primo piano, tra cui Pietro Vernengo, ‘Piddu’ Madonia, Nitto Santapaola, Pietro Aglieri. Nel ’91, quando De Gennaro tiene a battesimo la neonata Direzione investigativa antimafia, Antonio Manganelli diventa il direttore dello Sco. Sette anni dopo è questore a Palermo, dal ’99 al 2mila questore a Napoli. Nel 2000 è stato nominato dal Consiglio dei ministri prefetto di 1° classe, con l’incarico di direttore centrale della Polizia criminale e vice direttore generale della Pubblica Sicurezza. Dal 3 dicembre 2001 è stato vice direttore generale della Pubblica sicurezza con funzioni vicarie. Il 25 giugno 2007 il Consiglio dei ministri lo aveva nominato capo della Polizia.
Poi di nuovo al fianco di De Gennaro al Viminale, come lui sempre al lavoro, capodanno e ferragosto compresi. In tanti, in questi 6 anni al vertice della Polizia, gli hanno riconosciuto la capacità di mediare. Anche nella società civile. “Fare sicurezza – rimarcava Manganelli – significa analizzare i fenomeni e le tensioni sociali. Abbiamo il dovere di gestire anche questi momenti di tensione, coltivando la mediazione e le buone pratiche”. La comunicazione in questi anni è stata per il Dipartimento di Pubblica sicurezza un altro poliziotto in piazza, sul web, ovunque il risciho minacciava l’ordine pubblico. Anche durante la malattia con la quale combatteva da due anni, il prefetto che sapeva mediare, rimarcava che “comunicare sicurezza aiuta a crescere”. Per questo la ‘sua’ Polizia ha puntato non solo all’operatività ma alla prevenzione nello sport, parlando alla gente per costruire una “miscela di partenariato” capace di “mettere a fattor comune” il contributo di tutti. Per Manganelli, infatti, la sicurezza doveva essere partecipata.
Riteneva prioritario coinvolgere soprattutto i giovani, le scuole e le agenzie educative ed era convinto che le forze dell’ordine dovessero assicurare “libertà dalla paura”. Prima di essere operato d’urgenza, a un incontro pubblico aveva detto: “Facciamo un lavoro difficile. I problemi che si affacciano e mettono in difficoltà l’istituzione lo dimostrano, ma vi assicuro che la Polizia è un’istituzione fatta di persone perbene, che lavorano più di quanto sarebbe loro chiesto e producono risultati tutti i giorni, lavorando in sinergia con tutte le forze dell’ordine”. Aveva saputo fare squadra, incassando la stima e il rispetto delle istituzioni e, prima, dei suoi uomini sul campo, a cominciare dai suoi vice. Anche nella malattia, in tanti gli sono stati vicino. Dal ministro dell’Interno,Annamaria Cancellieri, al governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che il 26 febbraio gli aveva dedicato la vittoria al Pirellone, non perchè il capo della Polizia fosse leghista ma come “amico, una persona speciale”. Lo stesso messaggio che il neopresidente ha ribadito alla notizia della scomparsa su Twitter: “Ciao Antonio, maestro di vita e amico vero – ha scritto-. Rimarrai per sempre nel mio cuore”.
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